Smart working e lockdown: è davvero possibile?

Sono 8,2 milioni le persone in Italia che potrebbero lavorare in smart working, 570 mila quelle che già lo facevano a ottobre del 2019, tra gli ultimi in Europa eppure più del 20% rispetto all’anno precedente. In seguito all’emergenza Coronavirus i “lavoratori agili” aumentano di giorno in giorno e, tra vari pro e contro, il principale ostacolo con cui fare i conti è quello del digital divide.

Cos’è il Digital Divide

Con digital divide si intende una disparità nelle possibilità di accesso ai mezzi di informazione e comunicazione da parte di determinate aree geografiche o fasce di popolazione. Questo può comportare la perdita di enormi vantaggi, sia dal punto di vista socioeconomico che culturale. Prendiamo ad esempio l’Italia, dove il “divario digitale” è dovuto soprattutto da una mancanza di copertura internet adeguata. Infatti, nonostante i target fissati dalla Commissione europea nel 2010 per l’anno in corso di rendere disponibile la banda larga veloce (superiore a 30 Mbps) e quello più ambizioso di una ultraveloce (oltre 100 Mbps) per almeno il 50% delle famiglie europee, al 2018 erano il 58% le unità immobiliari in Italia raggiunte dalla prima, e solo il 12,1% dalla seconda.

Sperimentazione 5g

Per velocizzare questo processo di “digitalizzazione” verrà messo in atto anche un’importante sperimentazione con scadenza luglio del 2022. Questa coinvolge 120 piccoli comuni italiani e prevede la copertura con 5G usando frequenze 700 MHz, vale a dire quelle di stazioni televisive, ottimali per coprire ampie zone del territorio distanti dai centri urbani.

Tuttavia, questa necessità di stare al passo continua a trovare ostacoli sia esterni che interni. Primo fra tutti quello legato al settore privato, meno incentivato a investire nelle zone rurali del territorio, dove si può parlare addirittura di “esclusi digitali”. Non meno importante risulta l’opposizione proveniente dall’interno, dalle stesse persone che, nonostante questa necessità esista e la vivano ogni giorno, non la percepiscono o addirittura la temono. Si prenda di nuovo in considerazione la sperimentazione sui 120 comuni che ha fatto scattare una serie di polemiche riguardanti la pericolosità del 5G per la salute, paure infondate e smentite dallo stesso Istituto superiore di sanità Radiazioni a radiofrequenze e tumori. Se invece volessimo parlare nello specifico di smart working, secondo un report dell’Osservatoriotra gli impedimenti principali troviamo la resistenza dei capi (50%) mentre nella Pubblica Amministrazione fino a qualche settimana fa i dipendenti coinvolti erano solo il 12%, non troppo distanti dalla soglia minima indicata dalla direttiva Madia (10%).

Lo smart working è il futuro

Eppure, lo smart working non è solo una moda o l’ultima spiaggia in una situazione di emergenza nazionale, bensì il futuro per tutti quei lavori che lo permetterebbero. I benefici esistono, basti solo riflettere sul considerevole risparmio di tempo e soldi che ne deriverebbe. Nessun costo per eventuali spostamenti quindi riduzione del traffico, minore probabilità di incorrere in incidenti e abbassamento dei tassi di inquinamento. Per le aziende si traduce in nessuna spesa per eventuali affitti e manutenzione delle strutture. Inoltre, sempre secondo l’Osservatorio, i 76% dei “lavoratori agili” è soddisfatto del proprio lavoro, sconfessando le dicerie per le quali lavorare da casa vuol dire per forza isolarsi dal mondo. Infatti, smart working vuol dire imparare a gestire al meglio il proprio tempo, lavorativo e non, all’interno di nuove relazioni professionali che si instaurano fra dirigente e subordinato. Smart leadership, fiducia, collaborazione e obiettivi sono solo alcune delle parole chiave che caratterizzano il “lavoro agile”, si tratta di un nuovo tipo di coinvolgimento a livello lavorativo, con distanze che migliorano le relazioni fra colleghi e con i superiori.

Sicuramente sono ancora numerosi gli ostacoli da affrontare e gli aspetti da migliorare, se non altro si spera che queste settimane portino ad una maggiore consapevolezza di una realtà che già esiste, in costante crescita e destinata ad affermarsi sempre più seppure, nel nostro caso, lentamente. Infine, che la necessità di stare al passo diventi anche una volontà collettiva, per non lasciare indietro nessuno e soprattutto offrire a tutti l’opportunità di farne parte.

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